La posizione del lavoratore extracomunitario in assenza del permesso di soggiorno

La Costituzione della Repubblica italiana assume il lavoro come un elemento centrale del sistema sociale e, ancora di più, come uno dei valori principali dell’ordinamento giuridico, tant’è che nella tutela sostanziale del lavoratore non sono previste differenze particolari tra dipendenti assunti in forma regolare o irregolare.

In considerazione dei sempre maggiori flussi migratori che portano tutti i popoli dell’Unione Europea all’adattamento con nuove realtà socio culturali gli ordinamenti giuridici, di riflesso, hanno dovuto prendere atto delle molteplici sfaccettature che l’impatto dell’immigrazione ha avuto sul mondo del lavoro.

Purtroppo, come spesso accade, l’attività interpretativa dei Giudici è dovuta intervenire per definire prassi fondamentali nella gestione di casi che, per quanto rari, possono però influire su rapporti giuridici rilevanti tanto per il lavoratore che per il datore di lavoro e che, purtroppo, sono privi di uno specifico riferimento legislativo diretto.

In questo senso peculiare risulta essere il caso del lavoratore che, pur assunto regolarmente, nel corso del suo rapporto lavorativo resti privo del permesso di soggiorno. Fattispecie che implica la necessità di coordinare l’aspetto della disciplina giuslavoristica con quella prettamente amministrativa collegata alla concessione delle autorizzazioni di soggiorno ai cittadini extra UE.

In tal senso è bene precisare che la scadenza del permesso di soggiorno non determina di per sé un motivo di risoluzione del rapporto di lavoro. Lo stesso può proseguire regolarmente a patto che il lavoratore abbia inoltrato tempestivamente la domanda di rinnovo del provvedimento autorizzativo.

Infatti le interpretazioni fornite sia dalla giurisprudenza, sia dalla prassi amministrativa, confermano che nel caso in cui una Società sia interessata a mantenere il rapporto di lavoro con il dipendente extra comunitario ciò è possibile purché, in caso di verifica, possa documentare che in assenza della concessione del nuovo permesso (notoriamente soggetta ai ritardi della Pubblica Amministrazione) la domanda per il rinnovo sia stata effettuata tempestivamente in relazione alla scadenza del precedente permesso.

Pietra miliare per la ricostruzione della questione, e la sua interpretazione, rimane ancora il principio espresso dalla Suprema Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n. 9407 pubblicata in data 11 luglio 2001, che nel ripercorrere in modo sistematico tutte le fonti normative di riferimento ha confermato l’orientamento pacifico secondo cui nel rapporto di lavoro subordinato l’impossibilità sopravvenuta della prestazione, sia essa totale e definitiva, oppure, come più frequentemente accade, parziale o temporanea, non produce effetti automaticamente, ma può costituire un giustificato motivo di licenziamento, a norma dell’art. 3 della legge 15 luglio 1966 n. 604.

Dunque il divieto di occupare un lavoratore straniero privo dei permessi previsti dalla disciplina sull’immigrazione sebbene non integri, a rigore, un’ipotesi di impossibilità della prestazione, è alla stessa assimilabile, poiché giustifica ed anzi rende doveroso il rifiuto della prestazione. Impossibilità che, se interviene dopo una fase di attuazione regolare del rapporto, deve qualificarsi come sopravvenuta.

Per converso si ritiene applicabile detto principio anche al caso di sopravvenuta scadenza o revoca del permesso di lavoro o di soggiorno, perché questi eventi non determinano necessariamente e di per se stessi una impossibilità definitiva di attuazione del rapporto. È ben possibile, al contrario, che sia ripristinata la possibilità di esecuzione, a seguito di eventi quali il rinnovo del permesso, la concessione di uno nuovo, l’annullamento o la sospensione dell’atto di revoca.

Può quindi affermarsi che la cessazione di efficacia o di validità del permesso di soggiorno determina non la risoluzione del rapporto ma la sua sospensione totale, con riguardo ad ogni suo effetto economico e giuridico (ivi compresa, quindi, l’esclusione della maturazione delle quote di mensilità differite, del trattamento di fine rapporto, dell’anzianità, degli obblighi di contribuzione). Con la conseguenza che soltanto a seguito del definitivo rigetto della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, potrà essere intimato allo straniero il licenziamento per giustificato motivo.