Il contratto di mutuo e il piano di ammortamento

 

Il Contratto di mutuo

Il mutuo è il contratto tipico disciplinato dall’art. 1813 (e seguenti) del Codice Civile col quale una parte consegna all’altra una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità. La singolarità del mutuo è che con il contratto si trasferisce anche la proprietà dei beni dal mutuante al mutuatario. Nel diritto bancario, invece, il “mutuo” consiste per lo più in una forma di finanziamento a medio e lungo termine, convenzionalmente superiore ai 18 mesi, erogata a favore di famiglie ed imprese.

Le garanzie collegate ai finanziamenti a medio  lungo termine

I finanziamenti a medio e lungo termine sono assistiti, nella prassi, da garanzia ipotecaria a favore della Banca anche in considerazione del fatto che per lo più sono correlati, in modo diretto o indiretto, alla ristrutturazione e/o all’acquisto di beni immobili acquisendo in tal modo la denominazione di mutuo ipotecario o, in alcuni casi, di mutuo fondiario (se presenta  le caratteristiche di cui alla disciplina speciale sul credito fondiario di cui all’art. 38 T.U.B.).

L’ipoteca è una garanzia costituita sul bene che attribuisce al creditore il diritto di espropriazione a tutela del suo credito e la possibilità di essere soddisfatto con preferenza sul ricavato. L’ipoteca può avere ad oggetto i beni del debitore o di un terzo che vi acconsenta purché iscritti nei pubblici registri immobiliari o automobilistici o navali.

L’ipoteca si divide in tre categorie:

Si ha ipoteca volontaria quando viene costituita per effetto di un contratto fra il creditore e il debitore o il terzo datore di ipoteca da una parte o tramite un atto unilaterale volontariamente a garanzia di un credito pregresso oppure sulla scorta di un titolo esecutivo di formazione stragiudiziale (contratto di mutuo o cambiale).

Si ha ipoteca giudiziale quando la garanzia è costituita in forza di una sentenza, ordinanza o un decreto del  Giudice che rechi condanna al pagamento di una somma di denaro purché dichiarato esecutivo oppure su altri provvedimenti giudiziali cui la Legge abbia attribuito tale effetto.

Si ha, invece, ipoteca legale quando il bene può essere gravato dall’iscrizione nei casi previsti dalla Legge. Sul medesimo bene possono essere iscritte più ipoteche che acquisiscono un “grado” via via crescente in base al momento di iscrizione presso l’ufficio territorialmente competente. Il creditore di primo grado (quello dell’iscrizione più antica) sarà colui che per primo potrà chiedere l’assegnazione del ricavato derivante dall’espropiazione, il secondo sul residuo e, soddisfatto questo, via via gli altri creditori ipotecari prima, e chirografari poi. Salvo che non sia diversamente previsto nell’atto costitutivo l’ipoteca volontaria conserva la sua efficacia per 20 anni, fatto salvo l’ulteriore rinnovo della garanzia da parte del creditore.

Il contratto di mutuo chirografario

Dal mutuo ipotecario e fondiario si distingue il mutuo chirografario (che nella prassi ha un piano di ammortamento tra i 18/36 mesi) che viene erogato sulla scorta del solo merito creditizio non essendo garantito da un’immobile.

Il mutuo chirografario  può essere collegato a garanzie di firma, cambiali, pegno che hanno una durata molto più breve rispetto al mutuo ipotecario. La differenza più rilevante tra la categoria dei mutui ipotecari (e fondiari) rispetto a quelli chirografari è che i primi pur essendo atti di formazione stragiudiziale devono essere redatti in forma di atto pubblico e costituiscono valido titolo esecutivo ai sensi dell’art. 474 del codice di procedura civile. Questo significa che il creditore potrà agire immediatamente per il recupero coattivo del credito aggredendo il patrimonio del debitore evitando cosi la lunga fase dell’accertamento giudiziale del credito.

I contratti chirografari, invece, possono essere stipulati per semplice scrittura privata, una forma di stipula molto più agevole rispetto a quella dei mutui ipotecari che richiede l’intervento del Notaio, e sono subordinati solo alla (eventuale) tassazione da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Tuttavia per poter agire nei confronti del debitore per il recupero forzoso dei danari oggetto del mutuo il creditore sarà costretto prima ad ottenere la preventiva pronuncia di un Giudice che accerti il diritto di credito per capitale, interessi e spese con conseguenti oneri per spese legali da sostenere anticipatamente in capo al creditore e attesa dei tempi di gestione del fascicolo da parte del Tribunale, prima di poter avviare l’azione di recupero coattivo.

 

Il Piano di ammortamento nei contratti di mutuo

Passiamo ora all’analisi del sistema attraverso il quale vengono modulate e scadenziate le modalità di rimborso del mutuo che, in caso di contenzioso con la Banca, sono sempre l’elemento di analisi fondamentale per valutare il rispetto dei parametri di Legge nell’erogazione del capitale richiesto e del suo rimborso.

Il “piano di ammortamento” non è altro che il piano di rimborso che stabilisce il numero di ratei, la periodicità e il termine con cui deve essere rimborsato il capitale che viene erogato per effetto del mutuo e a cui vanno ad aggiungersi i c.d. “oneri finanziari” che consistono nelle spese di istruttoria della Banca, le (eventuali) spese assicurative, le commissioni dovute e soprattutto il tasso di interesse (fisso o variabile) che costituisce la remunerazione della Banca mutuante.

La pianificazione “standard”  di un piano di ammortamento riporta sempre gli importi scomposti tra la c.d. “quota capitale” il frazionamento della quantità di denaro oggetto di mutuo e la c.d “quota interessi”  che si riferisce al rimborso degli interessi calcolati sulla base del tasso di interesse applicato che può essere definito in misura “fissa” o “variabile”.

E’ opportuno precisare che in tema di contenuto minimo obbligatorio dei contratti è necessario che il testo contrattuale fornisca sin dall’origine un quadro chiaro ed esaustivo del tenore economico dell’obbligazione. Sul punto risulta chiara la lettera dell’art. 117 Testo Unico Bancario co. IV per effetto del quale il contratto deve indicare: “ il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizioni praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora ”.  Detta statuizione costituisce il fondamento dello “ius variandi” delle banche la cui validità viene subordinata ad un onere di forma, consistente nell’approvazione specifica della clausola da parte del cliente.

Le parti possano anche convenire, sin dalla sottoscrizione del contratto, sull’inserimento di principi generali con validità di parametri prefissati e certi, così da disciplinare le future vicissitudini del rapporto (Capriglione, Commentario al T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia, II, Cedam). Soluzione, questa, accolta anche dalla Banca d’Italia con provvedimento del 24 maggio 1992 secondo cui “non sono soggette ad alcun obbligo di comunicazione le variazioni di tasso conseguenti a variazioni di specifici parametri prescelti dalle parti e la cui determinazione è sottratta alla volontà delle medesime”.

Dunque sarà assolutamente legittimo il contratto di mutuo che riporti anche solo i criteri esemplificativi di calcolo del piano di ammortamento ( o come spesso accade l’eventuale formula algebrico matematica con cui deve essere calcolato) purché questo sia stato sottoscritto dai contraenti e accluso al contratto di mutuo al fine di ottemperare agli obblighi di trasparenza bancaria. La giurisprudenza di legittimità ha rilevato infatti come in capo alla Banca non sussista nemmeno un obbligo di comunicazione vero e proprio verso il cliente, laddove questo abbia preventivamente sottoscritto i parametri a cui sono ancorate le condizioni contrattuali suscettibili di modifica ( su tutte: Cass. Civ. sez. III, 25/11/2002 n. 16568).

A ciò si aggiunga che il piano di ammortamento (per quanto concerne i mutui ipotecari) non deve essere pubblicato nella nota di iscrizione ipotecaria e non c’è norma di legge che faccia espressamente carico di comunicare analiticamente il suo contenuto.

Dunque il piano di ammortamento inserito nel contratto di mutuo ha esclusivamente natura di clausola negoziale con funzione di criterio guida per la determinazione del conteggio senza che, per questo, sussista un obbligo di elaborazione analitica del prospetto di ammortamento al cliente.

 Il piano di ammortamento alla francese

Il piano di ammortamento più diffuso è quello “alla francese” il quale si presenta con rate costanti durante tutta la durata del mutuo. A cambiare è la composizione della rata con quote crescenti per il capitale e decrescenti per gli interessi.  La tipologia di piano di rimborso del mutuo consente di pagare ratei che da un punto di vista finanziario sono composti da una parte di una quota di interessi e dall’altra parte di una quota capitale. Pertanto tale tipo di ammortamento si rende adatto sia che il mutuo richiesto sia a tasso fisso che a tasso variabile. Il piano di rimborso del mutuo sarà suddiviso in rate tendenzialmente omogenee e costanti, fatta eccezione ovviamente per le eventuali fluttuazioni del tasso di interesse nei mutui a tasso variabile.

Per costruire il piano di ammortamento sarà necessario calcolare per ogni periodo

a)Quota interessi = capitale residuo (periodo precedente) x tasso di interesse (rapportato al periodo)
b) Quota capitale = rata (costante)quota interessi
c)Capitale residuo  = capitale residuo (periodo precedente) – quota capitale

Rata= quota interessi + quota capitale

Dunque il piano di ammortamento alla francese è un piano di ammortamento con quote interessi decrescenti, in quanto calcolate su un importo che decresce, e quote capitali crescenti. La rata, in sostanza, è formata da una quota interessi che decresce con il tempo e da una quota capitale che invece cresce. Per questa sua caratteristica, il primo periodo del piano ammortamento del mutuo alla francese è caratterizzato dal pagamento degli interessi, mentre mano a mano che il capitale viene restituito, l’ammontare di questi interessi diminuisce in concomitanza con l’aumento della quota di capitale.  L’effetto della variabilità dei tassi di interessi si avverte maggiormente nel primo periodo del piano di ammortamento, successivamente tende ad influire sempre meno sulla composizione della rata. La peculiarità del piano di ammortamento alla francese consente in caso di eventuali rialzi dei tassi, soprattutto nelle rate finali del rimborso, un impatto di poco rilievo  perché ormai il debito residuo è costituito pressoché tutto da capitale e la variazione sulla parte variabile degli interessi ha un impatto finanziario di poco peso. Dunque il piano di ammortamento alla francese rende le estinzioni anticipate dei mutui nel corso dei primi anni di ammortamento poco convenienti poiché nei primi anni dell’ammortamento si corrisponde una quota di interessi di gran lunga superiore rispetto alla quota capitale, con la logica conseguenza che il capitale da restituire al momento dell’estinzione anticipata sarà sempre consistente.

Il piano di ammortamento all’italiana

Il piano di ammortamento all’italiana è caratterizzato da rate composte da una quota capitale costante con la conseguenza che, con il trascorrere degli anni, l’importo della rata decresce. Il calcolo degli interessi maturati alla scadenza di ogni rata avviene moltiplicando l’ultimo debito residuo per il tasso di periodo. L’ammortamento all’italiana prevede rate decrescenti composte da quote capitali costanti e quote interessi decrescenti. Per costruire il piano di ammortamento sarà necessario calcolare per ogni periodo:

a) Quota capitale = capitale iniziale / numero di rate.
b)Capitale residuo = capitale residuo (periodo precedente) – quota capitale
c) Quota interessi = capitale residuo (periodo precedente) x tasso di interesse (rapportato al periodo)

Rata = quota interessi + quota capitale

Rispetto al piano di ammortamento alla francese questa formula consente di risparmiare sul totale interessi a causa del più rapido rimborso del capitale. Infatti, fermo restando che gli interessi sono sempre calcolati sul capitale residuo, il piano di ammortamento all’italiana presenta un capitale residuo sempre più contenuto rispetto a quello francese. Dunque gli interessi saranno calcolati sempre su un valore più contenuto, determinando un totale interessi ridotto. Si tratta di un piano di ammortamento a rata costante con pagamento di interessi anticipato. Nello specifico la quota interessi deve essere attualizzata all’inizio del periodo a cui si riferisce (mese, trimestre o semestre). Nell’ammortamento francese invece, la quota interessi di periodo viene calcolata in via posticipata. La prima rata è costituita da soli interessi e viene pagata anticipatamente rispetto all’inizio dell’ammortamento. L’ultima rata invece sarà composta dalla sola quota capitale (che coincide con l’importo della rata costante).

Altri piani di ammortamento tipici del finanziamento industriale

Dal piano di ammortamento alla francese e all’ italiana si distinguono poi altre metodologie di rimborso particolari che sono più utilizzate nell’ambito dei finanziamenti erogati alle imprese per investimenti industriali o ristrutturazioni finanziarie del debito. Tra i più diffusi ci sono, ad esempio, “all’americana” costruito in modo ibrido poiché la rata che virtualmente viene identificata con il rimborso periodico di fatto è costituita da una parte come rimborso effettivo dei finanziamento erogato dalla banca e dall’altra come pagamento di un piano finanziario di accumulo (collegato ad un prodotto finanziario di investimento) che nel lungo periodo andrà a generare interessi che andranno a beneficio della Banca. Infine abbiamo il piano di ammortamento a rate costanti computate sul calcolo complessivo del capitale e degli interessi le quali possono essere pagate in via anticipata (esempio 1 giorno di ogni mese) o in via posticipata (esempio 31 esimo giorno di ogni mese ).

 




L’accesso del lavoratore al Fondo di Garanzia INPS

La Legislazione di riferimento

Con la direttiva n. 987/1980 del 20 ottobre 1980 il Consiglio dell’allora Comunità Economica Europea (CEE) ha voluto garantire ai lavoratori subordinati una tutela minima nel caso di insolvenza del datore di lavoro.

Scopo della direttiva era quello di creare un meccanismo di tutela basato sulla creazione di specifici organi di garanzia che intervenissero, in sostituzione del datore di lavoro, per il pagamento di taluni crediti dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza di quest’ultimo.

La direttiva è stata attuata dallo Stato italiano con due distinti impianti normativi.

La Legge del 29 maggio 1982, n. 297 ha istituito presso l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale un apposito “Fondo di Garanzia” con lo scopo di sostituire il datore di lavoro, in caso di insolvenza di quest’ultimo, nel pagamento del trattamento di fine rapporto dovuto ai lavoratori dipendenti.

Il decreto legislativo del 27 gennaio 1992, n. 80, successivamente, ha esteso la garanzia anche alle ultime tre mensilità dovute dal datore di lavoro che fosse assoggettato alle procedure di fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria. Normativa di recente integrata anche con il decreto legislativo del 19 agosto 2005, n. 186 adottato in attuazione della direttiva del Consiglio dell’Unione Europea 2002/74/CE del 23 settembre 2002, che ha regolamentato le cd. situazione transazionali.

Corte di Giustizia delle Comunità Europea, della Suprema Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale oltre alle riforme della Legge Fallimentare intervenute tra il 2006 e il 2008 nel tempo sono intervenute per regolamentare indirettamente tramite l’interpretazione della normativa le condizioni di accesso alle prestazione del fondo di garanzia anche se, una chiave di lettura fondamentale in questo senso, è data dalle circolari INPS n. 74 del 15 luglio 2008, 32 del 4 marzo 2010 e dal messaggio n. 2084 del 11 maggio 2016 che sono essenziali per la predisposizione della documentazione necessaria ad avviare l’istruttoria della pratica presso l’Agenzia di competenza dell’INPS che pur potendo essere eseguita in autonomia dal lavoratore spesso richiede il necessario intervento di un intermediario specializzato quale un avvocato o, meglio ancora, un consulente del lavoro per verificare la percorribilità della richiesta, verificare i conteggi degli importi dovuti e valutare, se necessario, le azioni legali da esperire per giustificare l’accesso al Fondo di Garanzia cosi come sarà meglio illustrato infra.

I Soggetti assicurati

Possono chiedere l’intervento del Fondo di Garanzia tutti i lavoratori dipendenti tenuti al versamento dei contributi all’INPS ivi compresi gli apprendisti e i dirigenti e ai soci delle cooperative del lavoro.

Sono esclusi dunque solo quei lavoratori dipendenti che siano “collegati” ad un altro Istituto previdenziale diverso dall’INPS e ancora operativo.

In caso di decesso del lavoratore il diritto di accesso al Fondo di Garanzia potrà essere richiesto dagli “aventi diritto” da identificare secondo le previsioni e le preferenze di cui all’art. 2122 c.c. (coniuge, figli e, in via sussidiaria, parenti entro il terzo grado). La domanda di accesso al Fondo di Garanzia non potrà essere in ogni caso eseguita da parte di Società finanziarie o soggetti terzi ancorché dimostrino la titolarità del diritto per effetto di una eventuale cessione del credito.

La Legge opera una macro distinzione a seconda che il datore di lavoro sia stato sottoposto a una procedura concorsuale ovvero che il medesimo, non soggetto alle disposizioni del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (Legge Fallimentare) non adempia, in caso di risoluzione del rapporto di lavoro, alla corresponsione del trattamento dovuto o vi adempia in misura parziale.

I Presupposti per l’intervento del Fondo di Garanzia

La discriminante per le modalità con cui interviene il Fondo di Garanzia è l’assoggettabilità del datore di lavoro alla dichiarazione di fallimento in base ai parametri di cui all’art. 1 Regio Decreto n. 267 del 16 marzo 1942. Diverso invece sarà l’iter operativo in caso di imprenditore privo dei requisiti di fallibilità previsti dalla Legge.

Nel primo caso, in cui un imprenditore commerciale sia potenzialmente “fallibile” la Legge ha subordinato il pagamento da parte del Fondo di Garanzia alla esistenza di tre requisiti: a) l’avvenuta cessazione del rapporto di lavoro; b) l’inadempimento del datore di lavoro per l’intero credito inerente al trattamento di fine rapporto o per una sua parte; c) l’insolvenza del medesimo datore di lavoro.

In caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato la garanzia del Fondo di Garanzia opera a prescindere dalla causa che abbia determinato la cessazione del rapporto (dimissioni, licenziamento o scadenza del termine in caso di contratto a tempo determinato).

Un caso del tutto peculiare è quello del trasferimento d’azienda dove in caso di prosecuzione del rapporto di lavoro il TFR dovuto dal cedente è comunque dovuto anche dal cessionario anche per la parte maturata con il precedente datore di lavoro. Il Fondo di Garanzia interverrà solo nel caso in cui ad essere insolvente sia il cessionario o, eventualmente, il cedente ma solo se ci sarà l’interruzione del rapporto di lavoro a titolo definitivo.

Diversamente, fatta salva la prosecuzione del rapporto, nel caso in cui sarà insolvente il cedente in caso di fallimento di quest’ultimo il Fondo di Garanzia non interverrà poiché il cessionario sarà tenuto comunque a pagare il TFR integralmente.

Quanto all’accertamento del credito questo deve avvenire tramite una pronuncia giudiziale o, in caso di apertura di una procedura concorsuale tramite l’ammissione del predetto credito allo stato passivo con conseguente dichiarazione del Curatore Fallimentare, del Commissario Giudiziale o del Commissario Straordinario che questo non è più impugnabile e/o che sia stata incardinata opposizione allo stato passivo.

Occorre tenere presente che non possono essere subordinate a procedura concorsuale (con conseguente limitazione dell’operatività del Fondo di Garanzia) le imprese cancellate dal registro delle imprese per un periodo superiore a 12 mesi e quelle con un monte debiti scaduti e non pagati complessivo accertato nel corso dell’istruttoria pre fallimentare non superiore a € 30.000.

Inoltre il Legislatore con il Decreto Legislativo del 19 agosto 2005 n. 186 in attuazione della Direttiva CEE 2002/74/CE ha regolamentato anche le situazione transnazionali disciplinando l’operatività del Fondo di Garanzia anche in caso di procedura concorsuale nel territorio di un altro stato membro dell’Unione Europea a condizione che:

-l’attività del datore di lavoro sia svolta prevalentemente sul territorio di almeno uno dei due stati membri;

-l’impresa sia stata costituita secondo il diritto dello Stato membro in cui è aperta la procedura concorsuale;

-il dipendente abbia abitualmente svolto la sua attività in Italia e quindi, per contro, sia stata prevista la contribuzione INPS e al Fondo di Garanzia nel corso del suo rapporto di lavoro.

Nel caso in cui l’imprenditore non sia assoggettabile alla procedura concorsuale è possibile che l’intervento del Fondo di Garanzia a patto che il lavoratore interessato dimostri attraverso l’esperimento di una azione esecutiva che abbia cercato di aggredire senza successo il patrimonio dell’Impresa e, dove possibile, quello dell’imprenditore in forza delle garanzie previste dalla Legge nel caso di Società di persone o ditta individuale.

In tal senso la Giurisprudenza ha ritenuto che il lavoratore non deve dimostrare di aver tentato tutte le azioni esecutive in astratto esperibili ma limitarsi a dimostrare di aver cercato di eseguire con l’adeguata diligenza l’aggressione dei beni del datore di lavoro tramite, ad esempio, l’esecuzione di un pignoramento con esito negativo presso la sede legale della Società, la sede operative e, se società di persone, presso quella dell’imprenditore o dei soci – garanti.

Per l’intervento del Fondo di Garanzia sarà necessario il pignoramento negativo che potrà essere equiparato a quello mancato quando l’Ufficiale Giudiziario abbia accertato l’irreperibilità del datore di lavoro e l’assenza del debitore.

Se, invece, il datore di lavoro è deceduto e i chiamati all’eredità hanno rinunciato (o accettato con beneficio d’inventario) il datore di lavoro potrà accedere alla tutela del Fondo di Garanzia solo qualora si munisca di titolo esecutivo e sia stata aperta la procedura di liquidazione prevista dall’art. 499 c.c. e se, al termine della liquidazione stessa, il credito del lavoratore sia rimasto in tutto o in parte insoddisfatto per incapienza dei beni ereditari. In tal senso infatti l’INPS precisa che lo stato di graduazione di cui all’art. 499 c.c. non è equivalente, sul piano giuridico, allo stato passivo delle procedure concorsuali e pertanto nessun pagamento potrà essere eseguito dal Fondo di Garanzia fintanto che non sarà formalmente chiusa la procedura liquidazione del patrimonio nell’ambito dell’eredità giacente con conseguente insoddisfazione per il creditore – lavoratore.




Cosa sono i “Non Performing Loans” e come funziona il sistema della “cartolarizzazione”

La cronaca finanziaria e i mass media che si sono occupati delle crisi che, di recente, hanno colpito il sistema bancario da tempo hanno sdoganato e fatto entrare nel linguaggio quotidiano il termine “NPL”; termine che oramai è entrato nel lessico comune e che per questo motivo, spesso, può essere frainteso o non compreso nella sua pienezza da coloro che non sono “addetti del settore”. La locuzione anglosassone Non Performing Loans (N.P.L.) contraddistingue i cd. prestiti non performanti, vale a dire impieghi di danaro concesso dalle Banche a persone fisiche o imprese che non riescono più a ripagare il capitale e gli interessi dovuti. In buona sostanza si tratta di crediti per i quali la riscossione è incerta sia in termini temporali di recupero alla scadenza che per ammontare dell’esposizione e che nel comune gergo bancario vengono identificati anche come crediti deteriorati.

Gli NPL si dividono essenzialmente in due macro categorie: gli incagli e le sofferenze.

Gli incagli sono delle esposizioni verso soggetti che sono in uno stato di difficoltà solo temporaneo. Rappresentano, dunque, dei crediti che in un congruo periodo di tempo si considerano ancora prevedibilmente recuperabili o che, per meglio dire, hanno un grado di rischio di “non recuperabilità” ancora contenuto e richiedono accantonamenti inferiori nelle riserve contro il rischio che devono essere presenti nel bilancio della Banca.

Le sofferenze, invece, sono crediti la cui riscossione non è certa da parte degli intermediari che hanno erogato i finanziamenti perché i soggetti debitori risultano in stato di insolvenza (anche se non accertato giudizialmente) o in situazioni equiparabili e che richiedono l’attivazione delle azioni legali necessarie per il recupero del credito e, parallelamente, l’accontamento di apposite riserve in proporzione al credito a rischio e alla sua condizione.

La cessione dei crediti deteriorati

Il sistema della cartolarizzazione dei crediti deteriorati si basa sostanzialmente sulla flessione del credito che in Italia è disciplinata dall’art. 1260 del codice civile. La cessione del credito si distingue in pro solvendo o pro soluto a seconda che il cedente, per effetto della cessione, venga liberato dal cessionario o rimanga obbligato in solido con il debitore-ceduto in caso di inadempimento di quest’ultimo.

Tramite la cessione del credito il soggetto creditore (cedente) può trasferire il suo diritto (a titolo oneroso o gratuito) verso il debitore (ceduto) ad un soggetto terzo (cessionario). Fatte salve le limitazioni imposte dalla Legge sulla cessione di determinati crediti con prestazioni a carattere strettamente personale la cessione del credito si perfeziona con un contratto il cui oggetto può essere liberamente disciplinato dalle parti e il cui perfezionamento è subordinato esclusivamente alla notificazione della cessione al debitore ceduto ma non all’accettazione da parte di quest’ultimo. Nella prassi bancaria la cessione è uno strumento polivalente utilizzato sia nelle operazioni di finanziamento al commercio dove la Banca, tramite il pagamento di un corrispettivo (solitamente inferiore al valore nominale del credito), anticipa la liquidità necessaria al cedente per finanziare la sua attività commerciale oppure utilizzata largamente nelle operazioni di ristrutturazione del debito come garanzia atipica.

Nelle operazione di cartolarizzazione la Banca esegue una cessione pro soluto di una massa di crediti ad un prezzo notevolmente inferiore al loro valore nominale complessivo.

Operazione che ha due vantaggi immediati per la Banca cedente: acquisire liquidità immediata da mettere in cassa e sgravare il proprio bilancio di un credito dai tempi e dagli esiti di recupero incerti che comporta un aumento delle riserve a bilancio e, di conseguenza, il drenaggio di risorse da destinare agli impieghi e alle altre attività remunerative per la Banca.

Per contro il cessionario si accolla il rischio e i costi del recupero del credito; credito di cui però avrà acquisito la titolarità ad un prezzo nettamente inferiore rispetto al valore nominale che potrà essere richiesto al debitore e gli darà la possibilità di conseguire, in caso di esito positivo nel recupero, una remunerazione che costituirà il suo utile.

Il sistema della “securitization” o cessione in blocco

La cartolarizzazione dei crediti, o “securitization”, è una particolare tecnica di finanza strutturata nata negli Stati Uniti d’America mediante cui è possibile smobilizzare dei crediti iscritti nel bilancio della Banca con tempi e costi di recupero elevati tramite una cessione ad un valore inferiore rispetto a loro effettivo valore nominale che, per contro, garantisce l’incasso di una liquidità immediata.

Tale processo già diffuso nella prassi è stato regolamentato in Italia con la Legge n. 130 del 30 aprile 1999 che ha introdotto nel nostro ordinamento lo strumento della cessione a titolo oneroso di crediti in massa a fronte dell’emissione di titoli rappresentativi (cd. Cartolarizzazione di cessione di crediti in blocco) al fine di favorire tramite operazioni finanziarie lo smobilizzo dei crediti bancari non performanti (NPL) o, anche più semplicemente, la loro gestione operativa all’interno dei gruppi bancari, tramite la cessione a società veicolo emittenti di titoli obbligazionari.

La cartolarizzazione consiste nella cessione di crediti o altre attività finanziarie capaci di generare flussi di cassa pluriennali e nella loro successiva conversione da parte degli acquirenti in titoli negoziabili da collocarsi sui mercati. Ogni operazione necessita dell’intervento di banche d’investimento specializzate (c.d. “arranger”), che debbono organizzarne e gestirne tutte le fasi. Il soggetto che intende originare un’operazione di cartolarizzazione (“originator” che può essere una banca, lo Stato, o un intermediario finanziario ecc.) cede a titolo oneroso la proprietà di un portafoglio crediti selezionato a una società appositamente costituita per la cartolarizzazione detta SPV (special purpose vehicle).

La SPV cessionaria finanzia l’acquisizione trasformando le attività cedute in obbligazioni (asset backed securities o notes) da collocare sul mercato dei capitali; il pagamento all’originator del prezzo della cessione avviene mediante il ricavato del collocamento dei titoli, emessi presso il pubblico o gli investitori professionali.

Il recupero dei crediti oggetto della cessione permette alla SPV di remunerare col pagamento di un interesse il capitale investito dagli acquirenti delle “notes” e rimborsare a scadenza il capitale stesso. I crediti sono sempre tutti ceduti pro soluto. Questo significa che l’originator è liberato da ulteriori responsabilità e non risponde col suo patrimonio nel caso di inadempimento dei debitori ceduti. In via eccezionale l’originator può svolgere il servizio di recupero dei crediti (servicing) perché conosce meglio i casi specifici e i suoi clienti o perché mette a disposizione della SPV una struttura para legale già collaudata. I titoli di credito emessi in un’operazione di cartolarizzazione ricevono un rating basato sulla capacità dei crediti ceduti e via via recuperati di fornire le risorse finanziarie sufficienti a pagare le passività derivanti dalle “notes” emesse.

L’importanza delle operazioni di Due Diligence pre acquisizione

Nel momento in cui il cessionario acquista il credito deteriorato diventa propietario, con esso, di tutto ciò che è collegato al diritto di credito ivi comprese le garanzie personali o reali. Il credito, dunque, diventa un vero e proprio “bene” che prima di essere acquistato deve essere valutato sotto tutti i suoi aspetti per poter permettere al cessionario, futuro acquirente, di formulare un prezzo congruo in relazione al valore sostanziale che questo possiede dato dalle probabilità di recupero del credito, dalla validità e dal valore delle sue garanzie.

Si pensi, a solo titolo esemplificativo, a un credito dal valore nominale di € 50.000 privo di garanzie e per cui può essere chiamato a rispondere il solo debitore e da un credito dello stesso tipo e della stessa misura che sia garantito da uno o più fideiussori o, addirittura, da un’ipoteca su un immobile di valore idoneo a coprire il credito.

Come si può facilmente immaginare il prezzo che verrà formulato dall’acquirente del credito su quella singola partita contabile sarà inevitabilmente influenzato dal suo valore “sostanziale” e dalla possibilità di poter recuperare, con le opportune azioni, buona parte se non tutto il credito nominale per capitale, interessi e spese.

Ne consegue che il cessionario prima di procedere all’acquisto del portafoglio di NPL dovrà operare un esame analitico e peculiare di un “campione” dei crediti che saranno oggetto di acquisizione tramite i propri consulenti fiscali e legali (cd.  “due diligence” legale ) per poter acquisire tutte le informazioni necessarie ad avere la fotografia dei crediti che sta andando ad acquistare e operare tutte le considerazioni relative all’efficienza strategico-finanziaria e fiscale dell’operazione e, soprattutto, per la formulazione del prezzo d’acquisto.

Si parla in questo caso di due diligence preventiva (cd. pre-acquisition due diligence) che consiste nell’attività di indagine eseguita nella fase antecedente alla chiusura dell’operazione di acquisizione del portafoglio di crediti e che serve per verificare l’opportunità da parte del potenziale compratore di procedere all’acquisizione sulla base dello stato e della natura dei crediti ma, soprattutto, delle previsioni di recupero che vengono formulate sulla scorta di un esame approfondito di un “campione” significativo del portafoglio o sulla base delle quali verranno definiti gli aspetti fondamentali quali, ad esempio, la certezza, la liquidità e l’esigibilità del credito,  i tempi e i costi di recupero prevedibili collegati inevitabilmente alle azioni legali che si renderanno necessarie, la validità delle garanzie e, di conseguenza, il valore del patrimonio del debitore-ceduto e dei garanti. Elementi tutti necessari per creare il c.d. “prezzo di cessione” e per modulare, sulla scorta delle informazioni ottenute, le adeguate garanzie contrattuali. Operazione utile anche per il cedente che, invece, d’altro canto, evita ogni sorta di contestazione o di azione legale da parte del compratore volta a far valere le disposizioni codicistiche in materia di garanzie per vizi, di qualità della cosa venduta e di aliud pro alio, dal momento che le caratteristiche dei “beni” direttamente ed indirettamente oggetto dell’accordo sono stati sottoposti ad un esame preventivo ed approfondito da parte del compratore stesso.

I flussi di cassa e la remunerazione delle “notes”

Come detto la cartolarizzazione è correlata all’emissione di prestiti obbligazionari che hanno come garanzia collaterale dei “crediti deteriorati”; ma da dove provengono i flussi di cassa che permettono di remunerare gli investitori obbligazionari?

La remunerazione delle cedole staccate a favore degli investitori obbligazionari avviene grazie al recupero dei crediti nei confronti dei debitori – ceduti e dei loro garanti. In questo senso svolge un ruolo molto importante l’azione legale che viene incardinata per il recupero; recupero che deve essere sempre ponderato non solo in termini di remunerazione economica ma anche (e soprattutto) in termini temporali. Si pensi, ad esempio, al caso di scuola del credito ceduto costituito da un mutuo ipotecario di € 100.000 garantito dal valore dell’immobile. Dato un credito di € 100.000 e un valore di perizia dell’immobile di € 80.000 a causa della svalutazione del mercato immobiliare è inevitabile che non potranno essere ignorate da parte del creditore proposte di definizione stragiudiziale, purché congrue, che potrebbero evitare una procedura esecutiva immobiliare. Procedura che, come noto, ha tempi molto lunghi e costi elevati per chi la sostiene che, di fatto, si riflettono su quello che sarà il prevedibile incasso che sarà recuperato al suo termine. Inoltre un incasso immediato o anticipato rispetto alla previsioni di recupero formulate al momento della “due diligence” eseguita prima dell’acquisto del credito permetterebbe di “eliminare” la relativa posta a bilancio con effetto positivo sullo stato patrimoniale della società di cartolarizzazione.

Vero è che la soluzione transattiva, sempre da preferire in termine assoluti, non può essere accettata senza una adeguata ponderazione proprio per i medesimi motivi contabili e patrimoniali. Il credito “ceduto”,  il patrimonio del debitore e le sue garanzie costituiscono (indirettamente)  il “patrimonio” della SPV e, di conseguenza, senza adeguate valutazioni giuridiche o contabili molto difficilmente potrà essere stralciato un credito per effetto di un accordo che sia lesivo della prospettiva di recupero minima che sarebbe in ogni caso garantita, nel caso ipotizzato, dall’immobile oggetto dell’ipoteca al netto delle spese e dei costi legali e, soprattutto, ad un prezzo comunque inferiore o uguale a quello pagato dal cessionario al cedente per il credito nominale.  Valutazioni giuridiche e contabili che dovranno essere ineccepibili poiché come detto dovranno giustificare lo stralcio e, di fatto, la svalutazione di un credito posto a bilancio di una società di capitali che emette obbligazioni che devono essere remunerate con l’incasso di quel credito e i cui bilanci sono e devono essere subordinati al severo controllo delle società di revisione e dei sindaci e, all’uopo, dell’autorità preposta.

Considerazioni conclusive

Con l’evoluzione del sistema bancario in Italia e in Europa si è acuita sempre di più la necessità di avere strumenti normativi completi e protocolli operativi adeguati utilizzabili per la valutazione del rischio della solvibilità e quindi dell’affidabilità che società e imprese devono avere nel ricevere credito (c.d. rating). Il principio che sta alla base della solidità di una Banca è che, quanto più sono sane e meritevoli le imprese finanziate, tanto più la banca sarà sicura da un punto di vista patrimoniale e, di conseguenza, le risorse finanziarie che i risparmiatori gli affidano saranno tutelate. La Banca deve eseguire analisi approfondite che, per converso, devono avere dall’altra l’impresa come interlocutore trasparente, aperto e propositivo che esponga le sue esigenze finanziarie in modo adeguato e che giustifichi ragionevolmente, al momento della richiesta di finanziamento, eventuali criticità dei progetti di sviluppo senza che, come spesso accadde, vengano celate sotto una cortina fumogena problematiche molto gravi a livello finanziario o societarie che, se rivelate in un secondo momento, andranno a rompere irrimediabilmente il legame di fiducia con l’azienda di credito. Quanto più sarà affidabile e ponderato il processo di valutazione del rating creditizio da parte di una Banca tanto più il mercato collaterale potrà assorbire NPL e il processo di cartolarizzazione potrà costituire a tutti gli effetti un valido ed utile strumento per alleggerire i bilanci delle Banche, e allo stesso tempo, costituire un volano per l’economia. Secondo i principi della corretta tenuta dei libri e delle scritture contabili, la presenza di crediti inesigibili in bilancio altera la veridicità del patrimonio netto, dell’intero bilancio e dello stato di salute dell’impresa.

La Suprema Corte di Cassazione si è di recente espressa più volte confermando tale orientamento (su tutte Cassazione, Sezioni Unite, n 22474 del 2016) sancendo  la necessaria cancellazione dal bilancio dei crediti a sofferenza ed inesigibili la cui presenza comporta alterazioni di bilancio, falso valutativo, falso in bilancio e false comunicazioni sociali con conseguente responsabilità per gli amministratori che, in questo modo, inducono i terzi in errate valutazioni sullo stato di salute della società. La cessione pro-soluto di crediti a sofferenza può essere un utile e valido strumento di gestione della Banca purché l’identificazione degli eventuali crediti da cedere e la decisione di cederli, sia conseguenza di una corretta valutazione di merito da parte dell’azienda di credito stessa e di una applicazione di corretti criteri gestionali e normativi incontestabili. E’ utile ricordare infatti che uno dei profili che ha reso, tra le altre cose, grave la crisi che il sistema bancario ha avuto nel primo decennio del XXI secolo è stato la classificazione a “sofferenza” di molti crediti ad un grado di rischio e con parametri molto diversi rispetto a quelli reali.

La conseguenza di fatto è stata quella di avere bilanci all’interno del sistema bancario “drogati” in cui molti dei crediti che sono stati oggetto di cessione erano stati appostati a bilancio con valori virtuali superiori rispetto al loro effettivo valore. Alcune Banche infatti applicavano una male practice che consisteva in una super valutazione delle garanzie al fine di giustificare gli impieghi e mantenere, nell’apparenza, solidi i bilanci. Con la conseguenza che nel momento di maggior espansione delle operazioni di cartolarizzazione (prima decade degli anni 2000) il mercato è stato inondato con portafogli che poi hanno dovuto essere completamente svalutati. Il prezzo e la corretta valutazione dei crediti sono, dunque, l’elemento fondamentale su cui si muove il sistema delle cartolarizzazioni nel mercato finanziario. Strumento sicuramente ingegnoso e proficuo per lo smaltimento degli NPL ma che, per contro, non deve essere abusato tramite una sua lettura distorta tale da alterare le valutazioni patrimoniali appostate a bilancio poiché così facendo si snaturerebbe la natura prevalentemente finanziaria dell’operazione che la rende profittevole sul mercato per ridurre la cessione dei crediti ad una “mero” trasferimento del rischio da un soggetto all’altro con il solo intento di scaricare all’ultimo arrivato un portafoglio privo di valore ma, cosa ancor più grave, diffondere sul mercato titoli inconsistenti e privi di valore bruciando cosi anche il valore dei risparmiatori che andrà ad aggiungersi a quello, già perso, dei crediti irrecuperabili.