Detassazione e decontribuzione dei premi di risultato e welfare aziendale

Studi di sociologia e psicologia del lavoro pongono in relazione la “soddisfazione lavorativa” dei dipendenti con la capacità di mantenere o, addirittura, di migliorare le performance lavorative ed i livelli di produttività.


Tra i principali fattori in grado di influenzare la soddisfazione del lavoratore vengono indicate le condizioni lavorative e, quindi, sempre secondo la letteratura in materia, un buon sistema retributivo: stipendi, incentivi e promozioni sarebbero determinanti per il miglioramento della soddisfazione lavorativa. Così come lo sarebbero la possibilità di venire coinvolti nei processi decisionali e la percezione dei superiori, ovvero la convinzione di avere superiori che operano in modo equo e corretto, che siano disponibili, appaiano un punto di riferimento e siano influenti sull’organizzazione del lavoro.
Come è noto, le leggi di stabilità per gli anni 2016 e 2017 hanno reintrodotto misure fiscali volte a favorire l’erogazione da parte dei datori di lavoro privati di somme a titolo di premi di risultato. Inoltre, sono previste ulteriori esenzioni sia fiscali che contributive nel caso in cui il lavoratore scelga di “convertire” il premio aziendale in alcuni benefits.
Recentemente, il D.L. 24 aprile 2017, n. 50 ha previsto anche un rilevante sconto contributivo sui premi di risultato nel caso in cui l’azienda preveda strumenti di coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro.

Premi di risultato

I premi di risultato di ammontare variabile, la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, nonché le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa sono soggette ad un’imposta sostitutiva dell’Irpef con l’aliquota agevolata del 10%, entro il limite complessivo per il 2017 di Euro 3.000,00 lordi.
Possono fruire della tassazione agevolata quei lavoratori che nel corso dell’anno precedente a quello in cui il premio è erogato non abbiano avuto un reddito di lavoro dipendente superiore ad Euro 80.000,00.
L’accesso a tali benefici fiscali è subordinato alla stipulazione ed al deposito di un contratto collettivo territoriale o aziendale. In mancanza il datore di lavoro può aderire anche ad un contratto collettivo territoriale.
I contratti collettivi di prossimità devono descrivere gli obbiettivi al raggiungimento dei quali sono subordinati l’erogazione dei premi di produttività, mediante l’indicazione di criteri di misurazione oggettivamente verificabili e che abbiano riguardo a (cfr. Decreto Ministeriale 25 marzo 2016 – Ministero del Lavoro):
– l’aumento della produzione o di risparmi dei fattori produttivi;
– il miglioramento della qualità dei prodotti e dei processi, anche attraverso la riorganizzazione dell’orario di lavoro non straordinario o il ricorso al lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, rispetto ad un periodo congruo definito nell’accordo;
– altri specifici parametri tipici del settore merceologico in cui opera l’azienda.
Il contratto aziendale, nel caso in cui siano presenti RSU o RSA, deve essere trasmesso al Ministero del Lavoro entro 30 giorni dalla stipula (cfr. art. 14, D.Lgs. n. 151/2015). Nel caso, invece, di adesione da parte del datore di lavoro ad un contratto territoriale già siglato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (art. 51, D.Lgs. n. 81/2015), o dalle loro rappresentanze sindacali aziendali o unitarie, l’adesione a tale contratto andrà preventivamente comunicata ai dipendenti (quindi prima del periodo di maturazione dei premi) e comunicata al Ministero di Lavoro, anche in un periodo successivo, ma prima dell’erogazione di premi stessi.
Il deposito può avvenire solo in via telematica con le modalità di cui alla Nota direttoriale del Ministero del Lavoro del 22 luglio 2016, Prot. n. 33/4274 ed oltre al contratto devono essere depositati:
– l’autocertificazione che attesta la conformità del contratto aziendale o dell’accordo alla legge;
– il Modulo allegato al D.M. 25 marzo 2016, ove devono essere indicati i criteri di misurazione e verifica degli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione indicato dal medesimo provvedimento.

Convertibilità dei premi in welfare aziendale

La legge prevede il contratto aziendale o territoriale debbano prevedere la convertibilità totale o parziale dei premi di produzione in welfare aziendale (e cioè in benefits).
La convertibilità, tuttavia, rimane una libera scelta del lavoratore e può riguardare ad esempio:
– i contributi di assistenza di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore ad enti o casse di aventi esclusivamente fine assistenziale in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, per un importo non superiore ad Euro 3.615,20;
– le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro, nonché quelle di mense organizzate dal datore di lavoro o gestite da terzi, o, fino all’importo di Euro 5,29, aumentato ad Euro 7 nel caso in cui le stesse siano rese in forma elettronica, le prestazioni e le indennità sostitutive;
– le prestazioni di servizi di trasporto collettivo alla generalità o a categorie di dipendenti; anche se affidate a terzi ivi compresi gli esercenti servizi pubblici;
l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti e ai loro familiari per le finalità di culto, assistenza sanitaria, ricreazione, istruzione, educazione;
– le somme, i servizi e le prestazioni erogati dal datore di lavoro alla generalità o a categorie di dipendenti per la fruizione dei servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti

Piani di welfare aziendale

Si ricorda che i contratti collettivi aziendali o territoriali di cui all’art. 51 del D. Lgs. n. 51/2015 possono prevedere anche l’erogazione di benefits per l’attuazione dei c.d. “Piani di welfare aziendale”, anche slegati dal raggiungimento di obbiettivi aziendali (cfr. art. 51, 2 e 3 comma, TUIR).
In tali casi i benefits erogati ai lavoratori (per tutti i lavoratori o per categorie degli stessi) sono esenti da imposte e da contributi nei limiti indicati nell’art. 51 TUIR.
La stipula di tali accordi può essere utile in quanto consente la totale deducibilità dal reddito d’impresa dei costi sostenuti.
Mentre se i piani di welfare sono elaborati volontariamente dal datore di lavoro, la deducibilità dal reddito di impresa dei relativi costi non può superare il 5 per mille dell’ammontare delle spese per le prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi.
Si rammenta, infine, che con l’accordo del 27 febbraio 2017 le parti stipulanti l’accordo di rinnovo del 26 novembre 2016 del Ccnl per i dipendenti dell’Industria metalmeccanica hanno definito e precisato un elenco di strumenti di welfare a




L’avvocato e la crisi d’impresa: il ruolo dell’advisor nella prevenzione della crisi

Secondo un’autorevole opinione la “crisi” dell’Impresa è un elemento fisiologico nella vita di un’azienda che si palesa come una fase di instabilità della redditività che porta a rovinose perdite economiche e di valore di capitale, con conseguenti dissesti nei flussi finanziari, perdita della capacità di ottenere affidamenti creditizi, crollo di fiducia da parte della comunità finanziaria ma anche da parte dei clienti e dei fornitori. Tutti fattori che, singolarmente o congiuntamente, innescano così un pericoloso circolo vizioso. La fotografia dei dati più recenti ci dice che nell’ultimo trimestre 2016 si è rafforzato il calo dei fallimenti e delle altre procedure concorsuali (in particolare il ricorso al concordato preventivo) ma è aumentato il numero di imprenditori che decidono di chiudere la propria attività in bonis. Diminuiscono quindi le aziende in crisi costrette a dichiarare default ma tornano ad affacciarsi segnali di aspettative meno positive da parte delle aziende. E’ nel momento anteriore a questa fase che si devono innescare le procedure necessarie per rinegoziare con il ceto dei creditori nuove condizioni e termini per le obbligazioni già contratte, così da liberare risorse finanziarie e liquidità da destinare alla sopravvivenza dell’azienda e supere lo stato di crisi. All’interno dell’Impresa si individuano infatti due diversi componenti connesse tra loro: un organo di governo a cui spetta la corretta lettura dello stato di salute dell’Azienda e la struttura operativa che deve essere adeguata e spinta ad operare in modo performante al fine di evitare, se possibile, il sopraggiungere della crisi.
E’ proprio nel momento di percezione dei sintomi della crisi che l’avvocato – di concerto con i consulenti finanziari dell’azienda – deve intervenire.
Purtroppo l’esperienza pratica di chi scrive insegna che i soggetti appartenenti alla realtà della micro e piccola media impresa – diversamente dagli imprenditori appartenenti a realtà più strutturate a livello societario – percepiscono la figura professionale dell’avvocato, ancora come lo stereotipo del soggetto necessario solo in presenza di un contenzioso e non, così come dovrebbe essere, come quel consulente a cui fare ricorso nella vita quotidiana dell’attività societaria con cui confrontarsi periodicamente per mettere in sicurezza l’operatività aziendale da quelle problematiche che, apparentemente, possono sembrare gestibili dall’organo di governo o dalla struttura operativa ma che nascondo potenzialmente dei rischi da questi non percepibili.
Troppo spesso accade che l’avvocato non venga riconosciuto come advisor legale.
L’avvocato deve essere impiegato dall’Imprenditore in outsourcing continuativamente per il monitoraggio dell’Azienda poiché l’elemento principe per la buona riuscita della gestione della crisi aziendale è il fattore Tempo.
Dunque per sua natura la crisi dell’Impresa può essere prevenuta, anticipata e curata.
In tal senso però l’advisor deve intervenire in modo completamente innovativo rispetto agli ordinari schemi della consulenza legale cercando di educare l’Imprenditore “day by day” alla cultura delle decisioni ragionate in un’ottica non solo economico finanziaria ma nell’intento di individuare le procedure operative più efficienti per il proprio staff allo scopo di ridurre al minimo il rischio di insoluti, contenziosi relativi a rapporti commerciali, richieste di risarcimento danni o responsabilità per il Management.
E’ proprio quando l’Impresa è “sana” che deve essere costantemente monitorata e affiancata dall’ advisor in tutti quei casi di possibile criticità derivanti da transazioni con società a rischio d’insolvenza, nell’acquisto di beni nell’ambito delle procedure esecutive o concorsuali che potenzialmente possono avere un seguito patologico nei contenziosi scaturiti da situazioni di crisi finanziaria di fornitori o partner economici, sia davanti ai tribunali ordinari che fallimentari.
Senza, ovviamente, tralasciare l’indispensabilità dell’intervento dell’ advisor ogni qualvolta l’Imprenditore si trova ad avere a che fare con la gestione di operazione straordinarie che impattano finanziariamente in modo considerevole sull’Impresa, seguendola nel corso delle operazioni di accesso al credito in tutti i profili giuridici relativi al dialogo con le banche, nella formazione delle relative istruttorie e nella gestione dell’operatività e nella tutela del patrimonio personale dei soci di capitale.
Troppo spesso infatti la richiesta d’intervento da parte dell’Imprenditore viene fatta nella fase già patologica della crisi (e non nella sua genesi) a causa, purtroppo, di una comprensibile, ma non per questo giustificabile, convinzione di poter gestire autonomamente quelle dinamiche che nascondono al loro interno rischi non percepibili dall’Impresa e dall’Imprenditore che è privo dell’imparzialità e della visione tipica dell’advisor.

Gestione della crisi d’impresa e ristrutturazione del debito

Nei casi in cui la crisi non è percepita in tempo utile e si conclama con tutti i suoi effetti l’advisor legale, di concerto con l’advisor finanziario, assume il ruolo di coordinatore dei consulenti e dei collaboratori dell’Imprenditore accompagnando per mano quest’ultimo nella scelta degli interventi strutturali e delle strategie da attuare, individuando gli strumenti giuridici più adeguati per ridurre l’esposizione debitoria, curando l’aspetto fondamentale della dialettica con il ceto bancario, occupandosi di predisporre la contrattualistica necessaria alla formalizzazione delle convenzioni interbancarie, lettere di garanzia e di credito, curando gli aspetti correlati alla locazione finanziaria, operativa e al factoring, credito al consumo, costituzione e trasferimento di garanzie finanziarie e reali.
Vengono individuati, sempre di concerto con l’Imprenditore e l’advisor finanziario, gli strumenti giuridici con cui gestire la rinegoziazione del debito quali: accordi di stand still, convenzioni interbancarie esecutive di piani di risanamento attestati (art. 67 l. fall.), accordi di ristrutturazione (art. 182 bis l. fall.), accordi di moratoria (182 septies l. fall.). Viene predisposta la documentazione societaria, curata la gestione dei rapporti con i consulenti finanziari e industriali, smarcate le tematiche inerenti la responsabilità degli amministratori e alle proposte da formulare ai creditori, predisposti gli accordi modificativi di contratti anteriormente stipulati per la ristrutturazione dell’indebitamento finanziario, negoziati i contratti di cessione d’azienda, di cessione delle partecipazioni e di cessione degli immobili. L’attività dialettica dell’advisor legale nell’ambito delle operazioni di ristrutturazione è ancor più rilevante nel ruolo di vero e proprio mediatore tra il centro di interessi costituito dall’Impresa da ristrutturare e quello del ceto creditorio. In primis le Banche, coinvolte nel dialogo con i consulenti per curare tutti quegli interessi delle parti che devono essere bilanciati e cristallizzati in un accordo di ristrutturazione nel reciproco interesse, tanto delle Banche che dell’Imprenditore, di tutelare il patrimonio aziendale e la redditività.
Assistenza che viene eseguita tramite la verifica a 360 gradi di tutti gli aspetti che interessano la vita dell’Impresa in crisi curando tanto la predisposizione del piano di risanamento o dell’accordo di ristrutturazione, il set documentale nonché gli aspetti secondari, ma non per questo meno importanti, del contenzioso, del diritto bancario e finanziario, del diritto del lavoro che si dovesse sviluppare intorno al perimetro della ristrutturazione del debito. L’importanza di un consulente predisposto e formato per la gestione della crisi è ancor più evidente se si ipotizza, o si prefigura all’orizzonte della Società, come possibile il ricorso ad una procedura concorsuale. In questo caso è essenziale l’attenzione alla tutela degli amministratori e dei sindaci nella gestione delle attività ordinarie in tempo di crisi e nel corso delle procedure di liquidazione volontaria, di concordato preventivo (sia esso liquidatorio o in continuità) e dell’accompagnamento della Società al c.d. fallimento in proprio al fine di evitare sia che vengano posti in essere attività, delibere o comportamenti che possano dare il via ad azioni di responsabilità civile o penale nel caso in cui l’interlocutore della crisi d’impresa diventi il Commissario Giudiziale nominato nella procedura di concordato preventivo o il Curatore della procedura fallimentare.E’ superfluo osservare infatti che gli assetti di amministrazione e controllo, l’attività degli organi amministrativi ed assembleari, poteri, doveri e responsabilità all’interno ed all’esterno delle società, sono tutti aspetti su cui i professionisti della crisi d’impresa si devono soffermare in modo specifico, sedendosi letteralmente a fianco dei soggetti apicali nel corso delle riunioni del board . In conclusione per poter operare efficacemente nella gestione della crisi d’impresa è indispensabile un radicale cambio di mentalità da parte dei soggetti operativi coinvolti. Su tutti l’imprenditore, che deve percepire la figura dell’avvocato come una vera e propria risorsa della Società alla stregua dei suoi più stretti collaboratori e che può essere fondamentale, anche in assenza di situazioni critiche, nell’operatività quotidiana proprio per evitare decisioni imprenditoriali che, prive della giusta forma tecnica, possano poi nel medio termine dare luogo a problemi più grossi. Infine l’avvocato che per operare in ambito di crisi aziendale deve cambiare radicalmente l’approccio classico reinterpretando il suo ruolo come quello di anello di collegamento tra l’imprenditore, l’advisor finanziario e il ceto bancario operando, laddove presente, pur nel rispetto del mandato conferito dall’Imprenditore in modo aperto e costruttivo con tutti gli interlocutori seduti al tavolo. Privilegiando, sempre e comunque il dialogo, e sviluppando una sensibilità nella percezione della realtà aziendale che vada oltre l’affidamento della singola problematica oggetto del tipico mandato giudiziale andando a tamponare o prevedere tutte le possibili implicazioni o difficoltà che possono rendere difficoltoso il processo di ristrutturazione e di cui, a volte, nemmeno lo stesso imprenditore si accorge.




La cessione del credito derivante da contratto di locazione ultra triennale

Interessante pronuncia del Tribunale di Palermo nell’ambito di una procedura esecutiva presso terzo in cui lo Studio Legale WeLex assisteva Tizio per il recupero di un ingente credito riconosciuto in sede giudiziale dallo stesso Tribunale.

In assenza di adempimento spontaneo della controparte all’obbligo di pagamento disposto nella sentenza venivano avviate le necessarie azioni per il recupero coattivo del credito tramite pignoramento presso terzi poiché il debitore era proprietario di un immobile ad uso commerciale regolarmente locato.

Notificato l’atto di pignoramento in sede di udienza ex art. 547 c.p.c. compariva l’affittuario terzo pignorato il quale, pur dando dichiarazione positiva, rendeva edotto il Giudice di aver ricevuto la notifica della cessione del credito pro soluto, con avviso di pagare quanto dovuto periodicamente per il canone di locazione non al proprietario dell’immobile bensì ad un soggetto terzo.

Il Giudice dell’Esecuzione, preso atto dell’intervenuta cessione, rinviava l’udienza ordinando al l’esibizione ex art. 210 c.p.c. del contratto originale al fine di esaminare la notifica della cessione. Successivamente verificato che la notifica della cessione del contratto e del relativo credito si erano regolarmente perfezionate tramite l’Ufficiale Giudiziario competente in data successiva al precetto, ma anteriore al pignoramento, a seguito dell’istanza formulata dal creditore per l’accertamento dell’obbligo del terzo pignorato ai sensi del vigente testo degli artt. 548 e 549 c.p.c. come novellati per effetto dell’art. 1, comma 20 n.4) della legge 24/12/2012 n. 228, apriva la fase di accertamento del credito.

Con ordinanza resa il 23 gennaio 2017 il Tribunale di Palermo, sezione IV civile, in qualità di Giudice dell’Esecuzione aderendo alla tesi difensiva del creditore procedente ha rilevato come “il n. 8 dell’art. 2643 c.c. dispone che la trascrizione dei contratti di locazione di beni immobili che hanno durata superiore a nove anni mentre costituisce oggetto di previsione autonoma da parte della citata disposizione al n. 9 il contratto di cessione dei canoni di locazione da parte del locatore. Pertanto si ritiene che sussista l’obbligo della trascrizione sempre che si tratti di cessione di canoni futuri per un periodo di tempo superiore al triennio indipendentemente dalla trascrizione del contratto di locazione i cui canoni sono stati oggetto di cessione prevista solo se tale ultimo contratto abbia durata ultra novennale”. E ancora “Inoltre, l’art. 2918 cod. civ. regola la sorte delle cessioni e liberazioni di pigioni e di fitti (canoni di locazione, canoni d’affitto) stabilendo che non hanno effetto in pregiudizio del creditore procedente, e dei creditori che intervengono all’esecuzione, “le cessioni e le liberazioni di pigioni e fitti non ancora scaduti per un periodo eccedente i tre anni (omissis) se non sono trascritte anteriormente al pignoramento (la trascrizione delle cessioni e liberazioni ultra triennali è richiesta dall’art. 2643, n. 9 c. c.)”.

Dunque nonostante il debitore abbia dato prova della data certa anteriore della cessione rispetto al pignoramento ha riconosciuto comunque l’opponibilità al creditore pignorante e ricevuto l’assegnazione delle somme relative ai canoni di locazione per un tempo limitato a 12 mesi.

Inutile dire che la pronuncia è assolutamente di rilievo nell’ambito del diritto delle esecuzioni in considerazione degli strumenti spesso utilizzati dai debitori al fine di ritardare o bloccare l’escussione coattiva del credito dal momento. Se, infatti, ad una prima analisi l’eccezione della cessione munita di data certa faceva ipotizzare l’impossibilità totale di recupero il Giudice dell’Esecuzione, seguendo la tesi difensiva proposta, ha confermato un principio già enucleato dalla Suprema Corte in un unico precedente analogo  secondo cui:  “il contratto di cessione dei canoni di locazione da parte del locatore integra un negozio autonomo e distinto dalla locazione che ne costituisce solo il logico presupposto fattuale; ne consegue che sussiste l’obbligo di trascrizione sempre che si tratti di cessione di canoni futuri per un periodo di tempo superiore al triennio, il che non implica necessariamente l’omologo obbligo di trascrizione della locazione cui si riferisce, previsto solo se essa abbia una durata ultra novennale” (Cassazione civile, sezione III, sentenza n. 18194 del 28 agosto 2007).